IL GIUDICE DI PACE

    Visto   il   ricorso  immediato  ex  art. 21  d.lgs.  n. 274/2000
presentato in data 4 ottobre 2004 da Gallo Gianluca, difeso dall'avv.
Vincenzo Todaro del Foro di Venezia, nei confronti di Zennaro Erminio
R.G.N. 84/04, esaminato il parere contrario alla citazione formulato,
ex  art. 25  comma  2  d.lgs.  n. 274/2000,  ha  emesso  la  seguente
ordinanza.
    Con ricorso immediato ex art. 21 d.lgs. n. 274/2000 il sig. Gallo
Gianluca,  nato  a  Venezia  l'8  agosto  1977  e  residente a Mestre
(Venezia)  in  via  Perlan n. 51, a mezzo del difensore avv. Vincenzo
Todaro, con studio in Venezia-Mestre, via Rosa n. 24 esponeva di aver
subito  danni  patrimoniali  e  non  patrimoniali  a  seguito  di  un
incidente  stradale  avvenuto  il  4 luglio 2004 alle ore 15 circa in
Sottomarina  di Chioggia per responsabilita' del sig. Erminio Zennaro
residente a Sottomarina di Chioggia (VE), via Madonna Marina n. 60/F,
che,  alla guida del veicolo Fiat Punto targato BV041NN di proprieta'
della  sig.ra  Bruna  Scuttari  e  assicurata  per la responsabilita'
civile  con  la  Carige Assicurazioni S.p.A., dopo aver invaso, senza
alcuna presegnalazione, la corsia di marcia percorsa dal motociclo da
lui condotto, lo investiva.
    Chiedeva,  pertanto, il ricorrente che il giudice volesse fissare
udienza  per  procedere nei confronti del suindicato Erminio Zennaro,
il  quale  veniva  individuato  specificando  esclusivamente  la  sua
residenza,  per  il reato di lesioni colpose di cui all'art. 590 c.p.
perche'  per  imprudenza, negligenza, imperizia ed inosservanza delle
norme  del  Codice  della  Strada,  invadeva  alla guida del suddetto
veicolo, la corsia di marcia di pertinenza del motociclo condotto dal
ricorrente,  spostandosi da sinistra a destra con manovra improvvisa,
omettendo  di  azionare  l'indicatore  di  direzione cosi' investendo
Gianluca  Gallo dal lato destro, al quale procurava lesioni personali
guaribili in oltre quaranta giorni.
    Per   il   ristoro   di  tutti  i  danni  subiti  il  ricorrente,
contestualmente   al   ricorso   ex  art. 23  d.lgs.  n. 274/2000  si
costituiva parte civile.
    Presentato  il ricorso immediato in cancelleria in data 4 ottobre
2004, il giorno successivo il pubblico ministero, ritenuto il ricorso
inammissibile  per  mancanza delle generalita' complete della persona
citata a giudizio, formulava parere contrario alla citazione.
    Questo  giudice  non  ritiene  di condividere le censure mosse al
ricorso immediato dal pubblico ministero.
    Come  sentenziato  dalla  Suprema Corte «non sussiste la causa di
inammissibilita'  prevista  dall'art. 24  comma 1  lett. c) d.lgs. 28
agosto  2000  n. 274 se il ricorso immediato presentato al giudice di
pace  non  contiene  l'indicazione  della data e del luogo di nascita
della  persona  citata  a giudizio, ma riporti comunque l'indicazione
del  nome,  del  cognome  e  del  luogo  di residenza, in quanto deve
escludersi  che  sussista  a  carico della persona offesa un onere di
preventiva  identificazione  di colui nei cui confronti e' presentato
il  ricorso,  essendo  sufficiente  che  l'atto  non  sia  diretto ad
incertam personam» (Cass. 11 aprile 2003 n. 21714):
    La  stessa Corte costituzionale, nell'ordinanza n. 83 del 2 marzo
2004   ha   avallato   la  suddetta  interpretazione  puntualizzando,
altresi',   che   «la   completa   identificazione  dell'imputato  e'
differibile  al  momento  della  presentazione  del  medesimo  avanti
all'autorita' procedente».
    Ebbene, benche' in motivato disaccordo con il parere del pubblico
ministero  il  d.lgs.  n. 274/2000  non pare consentire al giudice di
pace, nel caso di specie come in casi analoghi, il compiuto esercizio
delle proprie prerogative.
    E' bene esaminare gli artt. 25 e ss. d.lgs. n. 274/2000.
    L'art. 25  d.lgs.  n. 274/2000 riconosce al pubblico ministero un
vaglio  preventivo  in ordine all'ammissibilia' del ricorso, alla sua
fondatezza  ed  alla  competenza per territorio del giudice adito. In
tali casi lo stesso pubblico ministero «esprime parere contrario alla
citazione» altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando
l'addebito  contenuto nel ricorso. In ogni caso il pubblico ministero
ha  dieci  giorni  di  tempo  dalla  comunicazione  del  ricorso  per
presentare le sue richieste nella cancelleria del giudice di pace.
    Decorso  detto  termine, l'art. 26 d.lgs. n. 274/2000 prevede che
il  giudice di pace «anche se il pubblico ministero non ha presentato
richieste» provvede a norma dei commi 2, 3 e 4, commi che contemplano
le   ipotesi   in   cui   il  giudice  di  pace  ritenga  il  ricorso
inammissibile,  manifestamente infondato, presentato per un reato che
appartiene  alla  competenza  di  altro  giudice  ovvero presentato a
giudice incompetente per territorio.
    Qualora  poi «non deve provvedere ai sensi dell'art. 26», dispone
l'art. 27 comma 1 d.lgs. n. 274/2000, il giudice di pace, entro venti
giorni,  convoca  le  parti  in  udienza  con  decreto  il quale, tra
l'altro, deve contenere «la trascrizione dell'imputazione».
    L'art. 27  d.lgs.  n. 274/2000,  sostanzialmente,  presuppone che
un'imputazione,  comunque,  sia  stata  formulata  mentre, come si e'
visto  dall'esame  degli  articoli  precedenti,  cio'  puo' anche non
essere avvenuto.
    Dall'esame   del  suddetto  articolato  risulta  chiaramente  che
l'ipotesi   in  cui  il  pubblico  ministero,  ritenendo  il  ricorso
inammissibile  ovvero  infondato  ovvero  presentato  ad  un  giudice
incompetente  per  materia,  esprime  parere contrario alla citazione
mentre   il  giudice  di  pace  ritenga,  al  contrario,  il  ricorso
ammissibile  ovvero  fondato ovvero presentato al giudice competente,
non  e'  contemplato  e,  quindi,  non  e'  prescritto  che  tipo  di
provvedimenti    il   giudice,   in   mancanza   della   formulazione
dell'imputazione, possa adottare in simili casi.
    Ne' e' possibile ricavate altrimenti, da altre norme, indicazioni
chiare ed inequivoche a riguardo. Ed invero.
    Non  pare che il giudice, possa ugualmente emettere il decreto di
convocazione  delle  parti il quale deve necessariamente contenere, a
pena   di   nullita'  ex  art. 27  comma  5  d.lgs.  n. 274/2000  «la
trascrizione dell'imputazione».
    Ne' puo' il giudice, in analogia con quanto previsto dall'art. 17
comma  4 d.lgs. n. 274/2000 e dall'art. 409 comma 5 c.p.p., sopperire
a tale carenza con il meccanismo della c.d. «imputazione coatta».
    Vi osterebbe innanzitutto la considerazione che le suddette norme
disciplinano  situazioni ben differenti dal momento che in entrambi i
casi, il giudice che dispone l'imputazione coatta e', a differenza di
quanto  avverrebbe  nel  caso di specie, un giudice diverso da quello
che,  in  seguito  alla formulazione dell'imputazione, conoscera' del
merito.
    Anche alla luce della costante recente giurisprudenza della Corte
costituzionale  in  ordine  al principio di imparzialita' del giudice
(cfr.,  ex  plurimis, ord. n. 123 del 20 aprile 2004; ord. n. 370 del
2000;  ord.  n. 232 del 1999) sorgerebbero seri dubbi sulla terzieta'
di un giudice che dopo aver, in una fase antecedente l'assunzione, da
parte  della  persona  cui  il reato e' attribuito, della qualita' di
imputato,    disposto    che   il   pubblico   ministero   formulasse
l'imputazione,  si  accingesse,  poi,  egli  stesso  a  celebrate  il
relativo dibattimento.
    A  parte  tutto  cio'  si  ritiene, altresi' che, in base al noto
brocardo  ubi  voluit  dixit,  la  mancata  specificazione  di questo
potere,  in  capo  al giudice, sia frutto di una precisa volonta' del
legislatore  rispettoso  delle  prerogative  del  pubblico  ministero
poiche',  invece,  nei  casi in cui lo ha ritenuto, il legislatore ha
chiaramente  previsto che il giudice potesse disporre che il pubblico
ministero formulasse l'imputazione.
    D'altra   parte   il  giudice  non  potrebbe  neanche,  in  luogo
dell'imputazione   che   il   pubblico  ministero  non  ha  formulato
riportare, sic et simpliciter nel decreto di convocazione, l'addebito
contenuto nel ricorso immediato.
    Vi ostano, innanzitutto, ragioni di natura testuale.
    L'art. 27  comma  3  lett.  d) d.lgs. n. 274/2000 come si e' gia'
detto, prevede che il decreto di convocazione debba contenere, a pena
di  nullita',  «la  trascrizione  dell'imputazione»,  cosi' lasciando
intendere  che  il  contenuto  della  traslatio debba necessariamente
preesistere  in  un  testo,  mentre l'art. 21 d.lgs. n. 274/2000, che
disciplina  il contenuto del ricorso immediato, impone al ricorrente,
al  comma 2 lett. f) una ben diversa, e non necessariamente sintetica
«descrizione,  in  forma  chiara e precisa, del fatto che si addebita
alla  persona citata a giudizio, con l'indicazione degli articoli che
si assumono violati».
    Questo  giudice  e'  ben  consapevole  che,  sempre  per rimanere
nell'ambito   testuale,   nel  testo  del  decreto  legislativo  reso
pubblico,  ufficiosamente,  subito  dopo  la  sua approvazione, il 25
agosto   2000,  da  parte  del  Consiglio  dei  ministri,  nel  testo
dell'innanzi   citato  art. 27  comma 3  lett.  d),  dopo  le  parole
«trascrizione  dell'imputazione»  compariva  l'inciso  «formulata dal
pubblico ministero».
    Non  si  ritiene,  tuttavia,  che  l'eliminazione,  nella stesura
definitiva,  di  tale  inciso  possa  costituire  argomento decisivo,
inequivoco  ed  idoneo  a  confutare  l'assunto  poc'anzi  esposto  e
sufficiente,  in  se',  a  sostenere la tesi diretta a consentire che
l'addebito   contenuto   nel  ricorso  possa  sostituire  la  mancata
formulazione dell'imputazione da parte del pubblico ministero.
    Soprattutto  pero', va considerato che consentire al giudice, nel
caso in cui il pubblico ministero abbia espresso parere negativo alla
citazione,    di    adottare   l'addebito   contenuto   nel   ricorso
significherebbe ammettere il pieno ed esclusivo esercizio dell'azione
penale  in  capo  al  ricorrente  sottraendolo al pubblico ministero,
unico  soggetto, invece, abilitato a formulare l'imputazione, come si
ricava   chiaramente   dall'art. 25   d.lgs.  n. 274/2000  oltre  che
dall'intero ordinamento.
    E'  ben  vero  che,  come  ripetutamente  affermato  dalla  Corte
costituzionale  (cfr.,  ex  plurimis,  Corte  Cost.  30 dicembre 1993
n. 474  e  Corte  Cost.  18 giugno 1982 n. 114), la Costituzione, nel
prevedere  che  il  pubblico  ministero  ha  l'obbligo  di esercitare
l'azione  penale non sancisce affatto la regola, in capo allo stesso,
del  monopolio  dell'azione  penale ma ammette la legittimita' di una
norma ordinaria che riconosca anche al privato la titolarita' di tale
azione.
    Ma intanto cio' verrebbe consentito, secondo la Consulta, purche'
si  tratti  di titolarita' non esclusiva ma sussidiaria e concorrente
rispetto  a  quella  del  pubblico ministero, al contrario di quanto,
invece,  si  realizzerebbe  nel  caso  in  esame dal momento che, nel
sistema  costruito  dagli  artt. 21  e  ss.  d.lgs.  n. 274/2000, pur
fondato  sulla  netta  distinzione  tra  iniziativa  del  privato  ed
intervento  del  pubblico  ministero,  al  primo  verrebbe ugualmente
consentito,   ed  addirittura  con  espresso  parere  contrario  alla
citazione  da  parte del secondo, di ottenere, sia pure nei soli casi
in  cui  il  giudice  non  ritenga  sussistenti  le  ipotesi  di  cui
all'art. 26  commi  2,  3  e  4  d.lgs.  n. 274/2000, l'emissione del
decreto di convocazione.
    Va   ribadito,  invero,  che  l'art. 27  d.lgs.  n. 274/2000  non
introduce  alcun  parametro  positivo  la  cui  sussistenza determina
l'emissione  del  decreto di convocazione ma tale emissione e' scelta
obbligata  per il giudice in tutti i casi in cui non ritenga di dover
accedere  agli  esiti «abortivi» del ricorso di cui ai commi 2, 3 e 4
dell'art. 26 d.lgs. n. 274/2000.
    Ne'  l'anomalia  verrebbe  meno,  ed anzi apparirebbe ancora piu'
evidente  ed  accentuata, qualora si volesse ritenere la formulazione
dell'imputazione,   sia  pure  attinta  dall'addebito  contenuto  nel
ricorso introduttivo, come atto del giudice, dal momento che verrebbe
anche   in  tal  caso  palesemente  disattesa  la  prerogativa  della
formulazione dell'imputazione in capo al pubblico ministero.
    Il  giudice,  sostanzialmente,  in  assenza  di  una  imputazione
ritualmente   formulata,  si  troverebbe  ad  esercitare,  d'ufficio,
l'azione penale.
    Scartate,    per   i   motivi   sopra   dedotti,   le   soluzioni
dell'imputazione  coatta e quella della formulazione dell'imputazione
attraverso  il richiamo all'addebito contenuto nel ricorso immediato,
sembrerebbe  che  al giudice, stante il mancato esercizio dell'azione
penale  da  parte  del  pubblico  ministero  che  ha  espresso parere
negativo  alla citazione, non resti, come ultima alternativa rimasta,
pur non ritenendo di dover condividere le censure di inammissibilita'
del   ricorso,   che   disporre   la   restituzione   degli  atti  al
rappresentante della pubblica accusa.
    Anche tale opzione, tuttavia, non pare esente da gravi censure.
    Nel  sistema  delineato dal d.lgs. n. 274/2000, come si e' visto,
le  determinazioni  del pubblico ministero di cui all'art. 25 comma 2
d.lgs. n. 274/2000 non condizionano le decisioni del giudice: tutti i
provvedimenti   reiettivi  del  ricorso  di  cui  all'art. 26  d.lgs.
n. 274/2000 possono essere assunti dal giudice anche in contrasto con
la  posizione  del pubblico ministero e pure se lo stesso, decorso il
termine  di  cui  all'art. 25 comma 1 d.lgs. n. 274/2000, sia rimasto
inerte.
    Anzi, anche nel caso in cui questi abbia formulato l'imputazione,
al  giudice e' consentito interrompere l'iter procedimentale attivato
dal  privato  qualora  ritenga  di  dover  adottare  uno dei suddetti
provvedimenti recettivi.
    Del  resto,  se  si  fosse  previsto  l'obbligo per il giudice di
fissare sempre l'udienza ogni qualvolta il pubblico ministero proceda
alla  contestazione  formale  del  reato,  verrebbe  meno  la  stessa
finzione di controllo sul ricorso in questa fase preliminare.
    Il  d.lgs.  n. 274/2000  ha  voluto,  sostanzialmente affidare il
controllo  finale  sui requisiti formali e sostanziali del ricorso al
giudice  al  quale  e' soltanto precluso, come si e' gia' detto, ogni
intervento sulla imputazione, a modifica o ad integrazione.
    Ammettere,  pertanto,  nel caso di specie, che il giudice, pur in
disaccordo  con  le valutazioni del pubblico ministero, debba vedersi
ugualmente  costretto  ad  interrompere  l'iter  del  ricorso diretto
equivarrebbe  a riconoscere a quello che oltretutto lo stesso art. 25
comma  2,  d.lgs. n. 274/2000 definisce un mero «parere» del pubblico
ministero  una  portata vincolante, una sorta di potere di veto sulla
procedura   del   ricorso   che  il  legislatore,  invece,  non  pare
assolutamente aver configurato.
    Nel  sistema  vigente  come  innanzi delineato, in definitiva, il
mancato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero,
come  avvenuto  nella  fattispecie  in  esame, non pare consentire al
giudice    un    compiuto   esercizio   delle   proprie   prerogative
giurisdizionali.
    Pare  potersi  sostenere,  tirando  le  somme,  che  solamente la
formulazione   dell'imputazione   puo'   consentire   al  giudice  di
effettuare  il  dovuto  controllo sui requisiti formali e sostanziali
del  ricorso onde poter provvedere ai sensi dell'art. 26 commi 2, 3 e
4,  d.lgs.  n. 274/2000  qualora ritenga di condividere il parere del
pubblico  ministero  ed  ai  sensi  dell'art. 27  d.lgs.  n. 274/2000
qualora, invece, ritenga di dover emettere il decreto di convocazione
delle parti.
    Solamente  tale  soluzione pare ugualmente rispettosa dei diritti
del  ricorrente  e  delle  prerogative  del  pubblico ministero e del
giudice.
    E'  evidente, invero, che la formulazione dell'imputazione, anche
qualora  il  pubblico  ministero  ritenga  il  ricorso inammissibile,
infondato   ovvero   presentato   ad   un  giudice  incompetente  per
territorio,   si   pone   come  conditio  sine  qua  non  rispetto  a
qualsivoglia  provvedimento  che  il  giudice,  in merito al ricorso,
riterra'  di  adottare dal momento che, in caso contrario, come si e'
detto,  non potrebbe il giudice procedere con l'emissione del decreto
di convocazione, non essendo stata formulata l'imputazione dall'unico
soggetto   abilitato   a  formularla  ne',  d'altra  parte,  potrebbe
effettuare  il  dovuto  controllo, che il legislatore gli rimette, in
ordine  ai  requisiti  formali  e  sostanziali  del  ricorso poiche',
essendo  mancata  la  formulazione  dell'imputazione,  e  quindi  non
essendo   stata   esercitata   l'azione  penale,  non  e'  mai  stato
legittimamente   posto   nella  condizione  di  poter  svolgere  tale
controllo,   dovendo   solo   prendere  atto  del  mancato  esercizio
dell'azione penale.
    Tutto   cio'  premesso,  si  ritiene  l'art. 25  comma  2  d.lgs.
n. 274/2000   incostituzionale   per   violazione  del  principio  di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. dal momento che non prevedendo
che,  anche  nel caso in cui esprime parere contrario alla citazione,
il  pubblico  ministero  debba  formulare l'imputazione, determina un
vincolo,  per  il  giudice  a  cui il pubblico ministero ha formulato
semplice  parere  contrario, di restituzione degli atti alla pubblica
accusa, non potendo il giudice disporre, come si e' visto, in maniera
diversa  e  contrariamente  all'ipotesi,  inversa,  in cui l'avvenuta
formulazione  dell'imputazione  non impedisce al giudice di ritenere,
invece,  nel  pieno  esercizio  delle proprie prerogative, il ricorso
inammissibile,  infondato  ovvero  presentato  dinanzi  ad un giudice
incompetente.
    L'art. 25  comma  2,  d.lgs.  n. 274/2000,  inoltre, sempre nella
parte  in  cui  non  prevede  che  il pubblico ministero anche quando
esprime    parere   contrario   alla   citazione,   debba   formulare
l'imputazione,  e'  viziato  con  riferimento  al  parametri  di  cui
all'art. 24  comma  2  Cost.  che  si  assume violato laddove, con la
restituzione  degli  atti  al pubblico ministero, che necessariamente
conseguirerebbe alla formulazione del parere contrario alla citazione
da  parte della pubblica accusa, il ricorrente verrebbe privato di un
importante  strumento  processuale riconosciutogli dal legislatore e,
per di piu' per ragioni non condivise dal giudice.
    L'art. 25  comma 2 d.lgs. n. 274/2000, infine, sempre nella parte
in  cui  non  prevede che il pubblico ministero, anche quando esprime
parere  contrario  alla  citazione, debba formulare l'imputazione, e'
viziato  con  riferimento  al  parametro della ragionevole durata del
processo  di  cui  all'art. 111  comma  2 Cost. che si assume violato
laddove,  con  la  restituzione degli atti al pubblico ministero, che
necessariamente   conseguirebbe   alla   formulazione  e  del  parere
contrario   alla   citazione  da  parte  della  pubblica  accusa,  il
ricorrente,  producendo  il  ricorso  gli  stessi effetti, ex art. 21
comma  5  d.lgs.  n. 274/2000,  della  presentazione  della  querela,
vedrebbe  il  proprio  ricorso  egure  l'iter tradizionale, con tempi
notevolmente  piu'  lunghi rispetto a quelli stabiliti per il ricorsi
immediato che, invece, consente l'instaurazione del giudizio senza la
fase delle indagini preliminari.
    La  rilevanza  della  sollevata  questione di incostituzionalita'
emerge  chiaramente  da tutto quanto innanzi dedotto ed e' ancor piu'
evidente  se si considera che nella fattispecie in esame mentre, allo
stato,  parrebbe  che  al  giudice  non rimanga che prendere atto del
parere  contrario all'imputazione da parte del pubblico ministero con
conseguente  restituzione  degli  atti, alla luce, invece, della gia'
sopra  indicata  sentenza  della Corte di Cassazione n. 21714 dell'11
aprile  2003  e dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 83 del 2
marzo  2004, qualora al giudice venisse, invece, consentito il dovuto
il  controllo finale sui requisiti formali e sostanziali del ricorso,
questo  darebbe  esiti  opposti a quelli cui e' pervenuto il pubblico
ministero,  con  conseguente  emissione  del  decreto di convocazione
delle parti.
    Tutto cio' premesso e dedotto.